Spese rappresentanza, la Cassazione annulla la condanna di Gambino

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    ROMA – Annullata, dalla Cassazione, la condanna a un anno e sei mesi di reclusione, per peculato, nei confronti dell’ex sindaco di Pagani Alberico Gambino, l’assessore regionale della Campania finito agli arresti domiciliari questa estate nell’ambito di una successiva inchiesta sul voto di scambio.

    La Suprema Corte – con la sentenza 36718 – ha disposto un nuovo processo per le spese sostenute da Gambino e da lui pagate con la carta di credito istituzionale del Comune.


    Secondo i supremi giudici, la Corte di Appello di Salerno che ha confermato la condanna di primo grado il 26 febbraio 2010, ha sbagliato a giudicare Gambino colpevole ritenendo una prova negativa la circostanza che avesse fornito solo in un secondo momento, al Comune, i giustificativi delle spese.

    Ora sarà la Corte di Appello di Napoli a chiarire se le spese saldate con la ‘Visà del Comune sono state fatte per fini personali o istituzionali. E per far questo – avverte la Cassazione, accogliendo la tesi difensiva degli avvocati Franco Coppi e Michele Tedesco – non importa se i giustificativi sono forniti in ritardo, quel che conta – e rimane da appurare – è se la spesa sostenuta «dimostri in modo trasparente e chiaro la realizzazione di uno scopo pubblico e non la canalizzazione del denaro ad un fine personale».

    In pratica, per la Cassazione, non prova il peculato la circostanza che la rendicontazione delle spese sia fatta con ritardo dal momento che «il meccanismo contabile della apertura di credito, con concessione della carta, presuppone che, all’atto di compimento della spese, sia emessa una doppia nota contabile: una rilasciata subito all’esibitore della carta, l’altra inviata in un estratto conto e sottoposta alla verifica del debitore». «In tal modo – rileva la sentenza – la spesa è immediatamente valutabile dall’organo di controllo amministrativo».

    «È l’esborso in sè che può costituire, o meno, reato a prescindere dal documento contabile», conclude la Suprema Corte.

    fonte:ilmattino

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